E’ una salita mitica, teatro di grandi imprese degli Italiani al Tour e luogo di ricordi per la mia storia personale. Per questo, e per molti altri motivi, la prima volta che ho scalato l’Izoard è stato un lungo scambio emotivo.

Ho le gambe un po’ stanche, la gara dell’altro giorno (Embrunman short distance, per carità, che la lunga forse in un’altra vita) ha lasciato qualche strascico. Mi sembra anche di non aver recuperato perfettamente dopo Zurigo, quel dolorino dietro il ginocchio sinistro, continua a farsi sentire.

A noi due, finalmente, quante volte mi sono immaginata su questa strada, con o senza un pettorale, con il culo sulla mia bici e il cuore sulla tua cima. Questa volta non ci sono scuse, sono qui per te e non mi fermerò.

Sono partita da Guillestre, proprio dove c’è il cartello della salita dal lato sud. Mi sento una pro, oggi, ho l’ammiraglia che mi segue, con mio marito (e lui sì che ha fatto l’Embrunman vero, per la quinta volta) e i due bassotti. Tommy si agita e abbaia ogni volta che mi vede.

Non ci credo che davvero mi stai lasciando salire in questa giornata di sole così straordinaria. Io lo so che tu puoi tutto, decidere per la pioggia e per la neve, farmi scivolare dopo avermi sfiancato. Credi che non sia preparata? Ho preso tutto quello che mi serve per affrontarti, forse avrei potuto arrivare armata di migliori polmoni e equipaggiata con più potenti muscoli, ma il mio cuore, te lo assicuro è corazzato.

Fa caldo inizialmente. Ho messo un cappellino sotto il casco e un intimo di troppo. Ad un certo punto mi devo fermare a toglierli entrambi. Mi appare desolata questa salita. Non che il paesaggio non sia bello, ma attraversa paeselli ed è tremenda. Tutta uguale, dritta, senza pause.

Dimmi la verità Izoard, davvero hai intenzione di farti conquistare da me? Io lo so quanto puoi essere insidioso. Di te mi hanno raccontato tutto, di quanto cambi, di come ti muovi, di come non sei mai lo stesso. Eppure oggi appari così, immutabile, in attesa. Mi guardi, piccola e insignificante, in sella alla mia bici. Io ho lo sguardo sui miei quadricipiti che si alza solo per vedere se stai sempre lì.

Qualunque scalatore vi dirà che psicologicamente e fisicamente i tornanti sono un aiuto, anche se vedere che la strada sale in modo verticale spaventa, comunque ogni curva dà il ritmo alla salita, e concede quel respiro di pausa, nel punto di svolta. Invece questo drittone tutto uguale, che sale inesorabilmente come fosse una tortura, sembra non finire mai.

Eccoti là, adesso sì che ti riconosco, sei quello dei racconti epici, vedo le curve, vedo il ghiacciaio, vedo le cime che ti circondano, e leggo nomi, Izoard. Chi ha tatuato tutta questa storia sulle tue lunghe gambe? Bartali, Coppi, Pantani, Nibali. C’è persino uno smile di fianco al nome di quel pazzo di Sagan. Tifosi di passaggio, amici, amanti… tutti han lasciato un segno profondo. Indelebile fino al prossimo inverno, alla prossima neve, al tuo prossimo capriccio.

I tornanti, eccoli, 1, 2, 3. La strada scorre. Sui cartelli la pendenza media del chilometro che andrò ad affrontare, 8,6%, dice questo qui. Mi metto un po’ in piedi per dare sollievo alle gambe, ancora una curva, ancora una foto, e quelle cime laggiù mi riempiono gli occhi.

Lo so che ne hai visti tanti salire di qui, solo oggi quanti? 100, 200, di più? Lo so che molti, probabilmente tutti, erano più forti, più bravi, più talentuosi di me, ma sai una cosa Izoard, non me ne frega proprio un tubo. Perché ora siamo io e te e questi cavolo di snodati e tortuosi pensieri che mi stai mettendo davanti. Li conto. Diminuiscono. Lo sai anche tu che non puoi moltiplicarli all’infinito.

Da qualche parte c’è una discesa, qualche centinaio di metri. So che arriverò nel deserto di roccia, sono preparata al massiccio monolitico di cui parla Bartali, ma non sono preparata allo spettacolo della Casse Deserte, perché nessuno può esserlo. Le lacrime scorrono e un singhiozzo arriva forte alle mie orecchie. E’ il mio. Le ruote della mia bici scivolano veloci verso gli ultimi due chilometri.

Questo è davvero un colpo basso. Sei proprio un traditore infimo. Me lo avevano raccontato di quando ti prendi il fiato qui, proprio nel punto in cui il fiato dovrei recuperarlo. Insomma mi mozzi il respiro mentre lo sto prendendo. Nell’unico punto di discesa tu costruisci una bellezza così travolgente da non lasciare scampo. Manca poco

2 chilometri, facili. E poi dopo l’emozione della Casse Deserte mi sembra di volare. Dai forza, ecco l’arrivo, la maglia a pois disegnata per terra, Simone, i bassotti. Sono in cima Izoard, per la prima volta, ti prometto che non sarà l’ultima.


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3 pensieri su “Di quella prima volta sull’Izoard”