Sono ferrarese di nascita. E come tutti i ferraresi ho imparato ad andare in bici prima che a camminare, che a dir il vero per me non è poi tanto strano visto che fino a due anni mi sono limitata a impartire ordini dal seggiolone. Diciamo che le mie doti spiccavano più nel campo dell’oratoria che del movimento: della serie perché sforzarsi a deambulare se c’è chi può farlo per te semplicemente chiedendo?
Però la bici… la bici è tutta un’altra cosa. Quando imparavi a pedalare dalle mie parti si stappava il Lambrusco (una cassa… famiglia non tanto numerosa quanto incline al consumo alcolico). Quando toglievi le ruotine la famiglia si riuniva neanche fosse un rito di passaggio all’età senziente. Se poi eri in grado di partire senza ruotine al primo colpo (non il mio caso) profetizzavano già un futuro nel ciclismo professionistico.
Ferrara è la città delle biciclette. Se non hai una bici non sei nessuno. Ti manca un’identità.
Da lì alla bici da corsa il passo è breve. Per me lo è stato almeno. L’ho amata più di ogni altra cosa.
Posso dire che sportivamente vengo dalla corsa, ma la bici, ah la bici è tutto un universo di colori, di gioia e di profumi che entrano dal naso ed escono dalla pelle.
Quindi bici da strada, sempre e comunque. Fino a quando l’anno scorso, per il mio compleanno, ho deciso che volevo la mountain bike.
E me ne sono fatta regalare una davvero favolosa: una Bianchi Jab…

L’esperienza immersiva nel negozio Bianchi di Lecco mi ha lasciato senza fiato. Erano anni che volevo una Bianchi e quando mi hanno messo in mano quella mountain bike ho capito che nonostante tutto doveva essere mia.
Notare: non avevo idea di come si guidasse una MTB: troppi cambi, troppo diversa la posizione e poi il fuori strada… una tragedia.
Ecco immaginatemi a cercare ancora di capire da che parte si sale su questo nuovo giocattolo che il marito già vaneggia di gare e mi convince ad iscrivermi al Duathlon Cross della Brianza. La gara, storicamente a febbraio, è organizzata da quella che è stata la nostra squadra di triathlon per più di 10 anni: il Triathlon Team Brianza (TTB).
Arrivare alla partenza, l’anno scorso, è stato un po’ come tornare a casa. E anche tornare un po’ indietro nel tempo. Un viaggio nel passato e in un posto amato.
Ero entusiasta, carica come una molla, felice.
Mi propongono un giro del percorso e in mezzo a quintali di fango arrivo alle famose tre balze. Non avrei mai pensato di trovarmi bloccata… lì a guardare la discesa, sulla mia bici e a non trovare il coraggio di scendere.
Mi sento di nuovo come a 3 anni, quando dovevo partire senza routine e non riuscivo a staccare il piede da terra e a metterlo sul pedale per cominciare a spingere. Quando avevo la certezza che nel momento in cui lo avessi alzato sarei caduta su un fianco.
Di nuovo lì.
Con lo stesso terrore.
Con lo stesso blocco.
E tutti a darmi spiegazioni: stai indietro col sedere, guarda avanti e non in basso, punta gli occhi sulla fine delle balze, non toccare il freno.
Alla fine prendo un respiro e vado.
Una, due e… volo…
Sull’ultima balza letteralmente faccio la capriola, la bici, la mia bellissima mountain bike, mi passa sopra la testa, mi spinge il casco sul naso e io mi ritrovo la faccia spiaccicata nel fango.
Mi accorgo dopo un attimo che sono tutta intera.
Mi rimetto in piedi e alzo un braccio, come un pilota in gara, e dico “sto bene”. E rido. Rido per la paura, per il casino, perché Fantozzi una caduta così neanche nella migliore gag, perché alla fine non mi sono fatta nulla.
Guardo mio marito e gli dico “io la gara la faccio, ma da queste balze scendo a piedi”.
Poi la gara parte, noi donne siamo pochissime, partiamo di corsa in mezzo al fango. 3 km, 2 giri.

Io faccio già così schifo che ho il fango anche nelle orecchie: Peppa Pig nel suo salto finale nelle pozzanghere al mio confronto sembra il testimonial del Coccolino fresco bucato, ma mi sento bene. Il sorriso mi arriva fino alle radici dei capelli, che saranno anche incrostate di puro fango brianzolo, ma sorridono, ve lo assicuro, sorridono.
E finalmente salto sulla mia fiammante, nuovissima e sporchissima Jab per 3 giri di giostra sempre più fangosi. Sempre più impossibili. Sempre più faticosi. In cui nell’ordine: rischio di cadere nell’unica discesa pericolosa per ben 2 volte, cado effettivamente sulle radici scivolose per almeno altre 3 volte, riesco ad impantanarmi peggio dell’intera famiglia Pig compresi avi fino alla terza generazione.

L’ultimo chilometro e mezzo di corsa è praticamente una passeggiata. Quando arrivo mi festeggiano che manco la Ryf a Kona, mi intervistano e la sola cosa che riesco a dire ridendo è “3 volte, sono caduta 3 volte”.
Quando entro negli spogliatoi la doccia è fredda e io ho il fango anche nelle mutande, non so come ci è arrivato, ma c’è.
Ma la sorpresa più grande è quando, dopo essere tornata a sembrare più o meno umana, arrivo prima di categoria.
Sul podio mi sento mezza pazza e mezza miracolata. Ma il sorriso, di nuovo, è quello che dice tutto.
La birra artigianale marchiata duathlon cross, le pacche sulle spalle dei vecchi amici, gli aneddoti di quando la conta dei tuoi anni aveva solo due decine o poco più e veder la mia bici tornare color celeste Bianchi sono solo le rifiniture di una giornata già perfetta.

Gli anni passano ma è di nuovo tempo di Duathlon Cross della Brianza. E io non potrò partecipare. Me ne rammarico così tanto perché tanta adrenalina, gioia e emozioni in un’unico momento sono merce rara da trovare.
Ma voi, voi non potete perderlo. Assicuratevi una delle esperienze più memorabili che la storia racconti.
Duathlon cross della Brianza. Only the brave. (E anche un po’ mud lover)
E ricordate… i diamanti saranno anche i migliori amici di una ragazza, ma io preferisco le biciclette.
