Correre. Ogni tanto dimentico come mi fa sentire. Dopo una stagione dove ho corso relativamente poco, tornare al rumore cadenzato dei miei passi è quasi un ricominciare da zero. E anche i sogni sono tutti nuovi…
Il 2019 è stata una stagione sportivamente intensa, 2 Ironman, 2 mezzi Ironman, qualche gara più breve in Italia e in Francia… eppure ho corso poco.

Sembra un’esagerazione, ma nell’evidente significato relativo di quel “poco” sta la mia abitudine degli anni precedenti. Una routine consolidata di corse in solitudine e in condivisione, una certa gestione dei pensieri, delle gambe stanche, della spossatezza, dei lunghi al freddo di mattina, quando è ancora buio.
L’anno scorso no, o meglio, l’anno scorso meno. Il 2018 si era chiuso, per me, con una maratona di sofferenza, un dolore intenso al tibiale, un fastidio continuo cresciuto mese dopo mese fin a diventare una difficoltà oggettiva nel camminare. La diagnosi di una probabile microfrattura.
Era così che cominciavo la mia preparazione all’Ironman… praticamente zoppa.

Niente corsa, per un po’ e poi, anche nella preparazione, la corsa doveva essere l’ultimo dei miei pensieri. Insomma dovevo vivere un po’ di rendita.
La verità, quella vera, è che la corsa per me non è stata amore a prima vista. No, proprio no. A dirla tutta a me correre proprio non piaceva (e talvolta non mi piace neppure ora). Quella sensazione di libertà, di sentirsi a casa, di sentirsi liberi, di far viaggiare la mente… ecco… io tutta quella roba lì la sento in bici. Datemi due ruote, un manubrio, una salita… avrete una Cate felice.

La corsa è più… un bisogno che cresce con la regolarità. Se corro sento che devo farlo ancora. Se mi abituo ad alzarmi presto e a uscire nel freddo, con la frontale e coperta come se partissi per l’Alaska, allora ecco che la corsa diventa una seria necessità.
E nel 2019 questa necessità è stata labile. Correre poco o comunque correre con poche velleità di migliorare, con in mente soprattutto obiettivi conservativi (della mia salute) mi ha reso reticente, svogliata, con l’idea fissa che correre fosse più un peso che un piacere.

In questi giorni, complice prima la montagna, e poi il mare, nonostante io debba sempre vincere la mia “pigrizia”, la corsa è tornata ad essere un piacere vero.
Calpestare la neve, sentire la fatica che si accumula nei muscoli, il fiato che si accorcia e i polmoni che si riempiono di aria fredda.

O ancora vedere il mare che scorre al mio fianco, i piedi leggeri, lasciare che il pensiero si regolarizzi sul passo, ascoltare il rumore della risacca e del respiro, ricordarsi, che in fondo, siamo esseri con un corpo e non solo con una mente che si arrovella.

E ora che è venuto il momento di tornare a casa… lasciare questa dimensione materiale e naturale è sempre più complicato; più invecchio e meno sopporto la città, le auto, il traffico, l’odore dell’asfalto e quello stress cinetico che un tempo avrei chiamato energia. Più invecchio e più divento orso, orsa forse (ndr: lo sapevate che gli orsi corrono a più di 80 km/h?)
Ma una cosa ho imparato in questa rinascita della corsa dentro di me. Che ci sono sogni che nascono solo correndo, nella semplicità del gesto, senza dover far attenzione alle auto e ai semafori, senza preoccuparsi dell’orario o dell’orologio, senza musica e parole, c’è uno spazio dentro di me in cui nascono, crescono e sembrano poter avverarsi.
Io sogno correndo.

Ps Grazie a mio marito per queste meravigliose foto, tutte no filter, del resto i colori erano già magnifici così