Stare dall’altra parte della barricata: essere la moglie di un Ironman

Circa 2 anni fa 4Running, uno dei giornali con cui collaboro, mi ha chiesto di scrivere un pezzo su cosa significa stare al fianco di un Ironman. Ai tempi mio marito ne aveva conclusi 12 (ora sono 25). Questo è quello che mi è venuto dal cuore… Se siete mogli/mariti/compagni o compagne di un triathleta, almeno un po’ vi ritroverete qui… Se poi volete sapere come anche io sono arrivata a praticare Triathlon leggete qui

Ve lo siete mai chiesti cosa vuol dire, voi Ironman, fare la moglie (o il marito, perché qui mica si fanno distinzione di genere…) di uno di voi.

E sia chiaro quando parlo di Ironman non ho in mente l’eroe mascherato della Marvel, ma quell’esemplare di essere umano che, ad un certo punto della sua vita, decide che farsi del male massacrandosi con uno solo sport di endurance non è abbastanza e moltiplica tutto non per due, non sia mai, bensì per tre.

Allora via:  3,8 km di nuoto, 180 di bicicletta e la regina delle distanze podistiche… la maratona.

Io uno così me lo sono sposato (e ogni tanto mi chiedo se non sarebbe stato meglio portarsi Ironman della Marvel all’altare, anche Superman poteva andare, l’Uomo Ragno mi è sempre stato un po’ antipatico, poi scomodo con tutte quelle ragnatale).

Il mio, di marito, era uno di quei triathleti pre-moda. Quando il triathlon era una “roba da sfigati”, le zone cambio sembravano un campeggio dopo i falò di ferragosto e le mute le chiudevi ancora con il nastro adesivo da pacchi (giuro l’ho fatto).

E quando dicevi che il tuo fidanzato, marito, compagno faceva il triathlon la gente immaginava discipline olimpiche con lancio del peso e tiro al piattello.

Insomma prima che la triplice fosse trendy, io avevo già un fidanzato pazzo che la praticava. Prima che il mondo scoprisse che il triathlon è una disciplina divertente e emozionante, prima…  insomma avete capito.

Quindi capirete anche, voi lettori, Ironman o meno, che non posso appellarmi neanche al fatto che il mio, di marito, sia uno di quei soggetti impazziti alla soglia dei 40 anni. Uno di quegli uomini tutto serate, vino e vizi e che improvvisamente scoprono la redenzione dello sport.

No,  il mio, di marito, carissimi, me lo sono sposato così. Tra un bicchiere di vino e una pedalata, dentro una chiesetta che è la Madonna dei Ciclisti, pianificando di scendere in tandem dal Ghisallo, con o senza coda del vestito. E nelle foto ci sono io con il bouquet, l’altare e la bici di Coppi.

Nel lontano 2005, dopo olimpici a gogo e qualche medio (rigorosamente in Italia) il soggetto in questione decide che è ora di fare il grande passo… chiedermi di sposarlo e fare un Ironman.

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Ironman Switzerland 2006 – Nr. 2

Risparmiatemi le battute sul fatto che un Ironman è meno faticoso di un matrimonio, che sopportare una moglie che fa shopping è meno stancante di correre una maratona dopo 3,8 km di nuoto e 180 di bici, che piuttosto che andare a cena dai suoceri ne faccio due di Ironman, alla settimana…

So che in quel luglio del 2005 eravamo a Zurigo e io portavo al dito un anello di fidanzamento.

So che mi sono alzata all’alba. So che la zona cambio aveva ancora una seggiolina di fianco alla bici e alle scarpe e non c’erano tende e hostess ad aiutare gli atleti a cambiarsi.  Via tutto, così, davanti al mondo, uomini e donne. Tanto sono Ironman.

So che l’ho riconosciuto in mezzo al lago, fra migliaia di cuffie, perché il mio, di Ironman lo riconoscerei tra milioni.

So che il percorso in bici erano ancora 3 giri, con 3 volte quella maledetta salita, l’Heartbreak Hill, la spaccacuore, dove la gente suona i campanacci e sembra di stare al Tour de France, su su sull’Izoar, quando arrivano i campioni.

So che ho preso un pullman per arrivare su quella salita, in quel lontano 2005, ma poi Zurigo è arrivato ancora e ancora negli anni, e allora l’ultima volta mi sono detta, la faccio anche io in bici e son salita su, con la mia Cinelli, con i triatleti, per quella strada, ad aspettarlo.

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Eccomi sull’Heartbreak Hill- Ironman Switzerland 2014

So che mio marito al secondo giro ha messo giù il piede su quell’erta maledetta (e voi tutti ciclisti e mogli di ciclisti saprete che non si mette MAI giù il piede in salita) per chiedermi se davvero, ma proprio davvero, volevo sposarmelo quel pazzo.

So di avergli risposto che se finiva la gara c’erano buone possibilità che non cambiassi idea sull’altare.

So che alla maratona, dove correvo da un angolo all’altro del villaggio Ironman per vederlo più spesso possibile, gli si è bloccato il ginocchio e mi è venuta un’ansia senza fine perché lo vedevo soffrire e continuare, nonostante tutto. Perché mai mollare, me lo ha insegnato lui.

So che avevo una maglia che diceva quanto fossi orgogliosa di lui e so che quando mi ha preso per mano per correre con me sul traguardo, mentre la voce al microfono ripeteva “Simone you are an Ironman”, ho pianto tutte le mie lacrime. Di gioia. Di stanchezza. Di felicità. Di orgoglio.

Quello che non sapevo allora,  ma che so ora, è che avrei pianto ancora, e ancora e ancora. Ad ogni traguardo. In tutti e 12 gli Ironman che sono seguiti. (Ora son diventati già 25..)

E so che succederà in tutti quelli che verranno.

Perché tu stai lì e aspetti. Aspetti e guardi l’orologio.  Aspetti e fai calcoli perché ormai conosci ogni particolare. Aspetti di vedere la bracciata che riconosci. Aspetti il casco che individueresti tra mille. Aspetti la falcata, il cappellino, il movimento delle spalle.

Aspetti il tuo Ironman. Aspetti tuo marito.

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La nostra prima volta – Ironman Switzerland 2005

Se poi volete sapere cosa ho combinato io all’Ironman di Zurigo, svariati anni dopo, potete sempre leggere qui

2 pensieri su “Stare dall’altra parte della barricata: essere la moglie di un Ironman

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